THAT QUESTION, of course, was 'Where do you get your ideas?' It was a question Bill supposed all writers of fiction had to answer — or pretend to answer — at least twice a week, but a fellow like him, who made a living by writing of things which never were and never could be, had to answer it — or pretend to — much more often than that.
'All writers have a pipeline which goes down into the subconscious,' he told them, neglecting to mention that he doubted more as each year passed if there even was such a thing as a subconscious. 'But the man or woman who writes honor stories has a pipeline that goes further, maybe . . . into the sub-subconscious, if you like.'

He thought now: You always knew they were asking the wrong question, even before Mike called; now you also know what the right question was. Not where do you get your ideas but why do you get your ideas. There was a pipeline, all right, but it wasn't either the Freudian or Jungian version of the subconscious that it came out of; no interior drain-system of the mind, no subterranean cavern full of Morlocks waiting to happen. There was nothing at the other end of that pipe but Derry. Just Derry. And —
—and who's that, trip-trapping upon my bridge?
[LA DOMANDA, naturalmente, è: «Da dove prende l'ispirazione?» È presumibile che tutti i narratori debbano rispondere a una domanda come questa, o fingere di rispondere, almeno un paio di volte alla settimana, ma a uno come lui, che si guadagna da vivere scrivendo di cose che mai sono state e mai potranno essere, è richiesto di rispondere, o fingere di farlo, ancora più spesso.
«Tutti gli scrittori hanno una loro linea di comunicazione con l'inconscio», spiegava, sorvolando sul dubbio che gli si andava consolidando con il passare degli anni sulla reale esistenza di un inconscio. «Ma la persona che scrive storie dell'orrore comunica forse con qualcosa di più profondo... qualcosa che potremmo chiamare l'in-inconscio, se vi piace.»
Risposta elegante, questa, ma non proprio sincera. Inconscio? Be', qualcosa là in fondo doveva esserci, ma Bill pensava che la gente avesse molto sopravvalutato una funzione che probabilmente era l'equivalente mentale della lacrimazione degli occhi irritati da un granello di polvere o l'emissione di gas intestinali un'ora circa dopo un pasto pesante. La seconda metafora era probabilmente la più esplicita, ma non sarebbe stato molto simpatico raccontare agli intervistatori che per quanto lo riguardava i sogni, le confuse nostalgie e le sensazioni di déjà-vu si riducevano in fondo a una serie di rutti mentali. Si vedeva che avevano bisogno di qualcosa, tutti quei reporter con i loro taccuini e i loro piccoli registratori giapponesi, e Bill desiderava aiutarli come meglio poteva. Sapeva che scrivere era un mestiere duro, un mestiere maledettamente duro. Inutile sarebbe stato rendere ancor più arduo il loro ribattendo: «Amico mio, tanto varrebbe che mi chiedessi chi ha gettato la luna nel pozzo».
Ora riflette: Hai sempre saputo che ti rivolgevano la domanda sbagliata, ancor prima che telefonasse Mike; ora sai anche qual è la domanda giusta. Non da dove prendi ispirazioni, ma perché ti vengono le ispirazioni. Certo che esiste una linea di comunicazione, ma non con un presunto inconscio, in versione Freud o Jung a seconda delle preferenze; non con un canale scolmatore della mente, non con una caverna sotterranea piena di Morlock che aspettano di manifestarsi. Non c'è niente all'altro capo di quella linea di comunicazione che non sia Derry. Solo Derry. E...
... chi è che vien trotterellando sul mio ponte? (trad. T. Dobner)]
Nessun commento:
Posta un commento